mercoledì 27 gennaio 2010

sabato 2 gennaio 2010

Le origini risorgimentali della corruzione italiana

a cura di Centro studi Giuseppe FedericiI moribondi di Palazzo Carignano, di Giorgio Filograna

Vittorio Emanuele II rivolgendosi al plenipotenziario inglese August Paget dichiarò esplicitamente: “Ci sono due modi per governare gli italiani: con le baionette o con la corruzione”. Fece usare le une e l’altra con spregiudicata brutalità e così nacque l’Italia: una monarchia poco democratica fondata sulle tangenti. Il nuovo stato fu travagliato da molti scandali, dal crack della Banca Romana allo scandalo delle Regie Tabaccherie dove alcuni innocenti pagarono per colpe mai commesse (mentre il re poco prima si era appropriato di 20 milioni dell’epoca come “residuo” di bilancio ), sino alle grandi truffe delle ferrovie dove negli elenchi dei soci e nei bilanci c’erano ripetizioni e imprecisioni tali da meritare l’apertura di qualche fascicolo giudiziario.L’avvenimento più imbarazzante fu però l’affare dei lavori del canale Cavour in cui fu coinvolto Gustavo Cavour, fratello del presidente del consiglio Camillo, uno dei maggiori azionisti della Cassa di Sconto, che se n’era accaparrato l’appalto grazie a capitali inglesi. I Cavour erano affaristi abilissimi e spregiudicati. Per esempio durante una carestia, quando il prezzo del pane era altissimo, la famiglia Cavour rappresentava la maggioranza degli azionisti dei mulini di Collegno che facevano incetta di farina e grano.Ferdinando Petruccelli della Gattina, giornalista abile e sarcastico, ne diede un lucido resoconto nel suo libro I moribondi di Palazzo Carignano. Il Petruccelli era all’opposizione e non tollerava gli inutili rituali della retorica parlamentare. Nel suo libro leggiamo che la camera, composta da 443 deputati, era in realtà un esercito di principi, duchi, conti, marchesi, generali, ammiragli, avvocati, cavalieri e commendatori. C’erano anche un bey dell’impero Ottomano, qualche legion d’onore ed infine Giuseppe Verdi. Mancava invece Carlo Cattaneo il quale, pur essendo stato eletto per tre volte, si rifiutò di giurare fedeltà ai Savoia. Il centro del parlamento era definito la “zattera della Medusa, dove tutti i naufraghi sono aggrappati, tutti i superstiti, tutti gli sbandati. Essa è un ospizio degli invalidi”. La sinistra sembrava un arcipelago di anime in pena: mazziniani, garibaldini, pseudofederalisti e oltremontani ed infine gli “uccelli da passeggio” cioè l’estrema sinistra, così definita perché sempre sul punto di passare sui banchi della destra.Intanto le tasse continuavano a crescere e i giornali del 1866 rilevarono che 22 milioni d’italiani avevano pagato il doppio delle tasse rispetto a 19 milioni di prussiani. A giudizio di Lord Clarendon il governo era una nullità e la corona d’Italia era a rischio con quel re “ignorante, bugiardo, intrigante che nessuno poteva servire senza danno per la propria reputazione”. A giudizio degli ambasciatori inglesi - in una nota diplomatica destinata a Londra - il più debole di tutti era il ministro degli esteri conte Campello: “La sua intelligenza è così limitata e appare così totalmente ignaro dei problemi del suo dicastero che tentare di avere una conversazione con lui equivale a perdere tempo”.Seguiamo lo scandalo della Banca Romana nel resoconto del giornalista Pietro Sbarbaro. Sin dai tempi della Repubblica Romana di Mazzini era a capo dell’oligarchia della Banca un certo Tanlongo, che fu incaricato dai vari capi di governo (da Cavour a Giolitti fino a Crispi) di offrire somme considerevoli ad alcuni prelati che avrebbero dovuto ammorbidire il Vaticano sulla questione Unità d’Italia e di assecondare i fratelli della massoneria. A questi furono concessi prestiti personali estesi anche ad amici degli amici con l’emissione in eccedenza di banconote. Giolitti tentò di nascondere lo scandalo, comprese sei buste voluminose che riguardavano Crispi, ma l’affare fu scoperto. Il Tanlongo fu arrestato il 18/1/1893 e la sua difesa sostenne che le irregolarità erano state sollecitate dallo stesso governo. Alla caduta del governo Giolitti fu nominato Crispi il quale, per coprire lo scandalo, d’accordo con il re governò per un anno intero a camera blindata, cioè convocandola solo undici giorni. Fu dimostrato che la Banca Romana aveva consegnato illegalmente a Crispi 718.000 lire dell’epoca (13 miliardi d’oggi). Nessuno tuttavia osò intralciare lo statista che stravinse le elezioni e governò con ampi poteri. La fine politica di Crispi fu segnata dalla cattiva avventura coloniale in Africa, ma non mancarono altri moribondi ad occupare le aule del palazzo.

BRIGANTAGGIO NELLA PROVINCIA CROTONESE

BRIGANTAGGIO A CACCURI DAL 1815 al 1861
di: Giuseppe Marino - da: http://digilander.iol.it/marino50/Bandiera/episodi.htm


Dopo un breve periodo di relativa calma che coincise con il ritorno sul trono di Napoli dei Borboni, il brigantaggio, divenuto oramai un male endemico, riesplose più forte che mai nelle nostre contrade. Per la verità gli episodi criminali non erano mai del tutto cessati e bande di taglia gole continuavano a scorrazzare per la zona devastando e saccheggiando anche subito dopo il 1815, ma fu dopo il 1820 che il "brigantaggio politico", come insofferenza al regime borbonico, prese di nuovo ad intrecciarsi con le ordinarie vicende di criminalità comune.

La notte del 18 febbraio del 1827 Giuseppe Meluso, detto il Nivaro, assieme ad altri suoi compagni, ingaggiò un conflitto a fuoco con la Guardia urbana di Caccuri. A circa un anno di distanza, il 6 luglio del 1826, assieme al compaesano Ignazio Foglia e a Tommaso Grande di Casino (l’attuale Castelsilano) attaccò la Guardia urbana di quest’ultimo paesino. Il processo per questi fatti si celebrò il 5 dicembre del 1834 e si chiuse con la condanna del Meluso che, però, riuscì a rifugiarsi a Corfù dove si nascose facendosi chiamare Battistino Belcastro. Da lì tornerà in Calabria al seguito dei Bandiera e riuscirà a sfuggire anche all’agguato della Stragola.

Nel 1842 la Guardia urbana di Cerenzia, coadiuvata dai guardiani del barone Barracco, sgominò la banda del brigante Panazzo di Casabona che, da anni, imperversava nella zona ed aveva come base operativa una piccola valle in territorio di Caccuri che, ancora oggi, porta il suo nome.

Il 1844 fu l’anno della spedizione dei Bandiera alla quale il Meluso era stato aggregato per la perfetta conoscenza dei luoghi.

Nel 1847 si celebrò il processo contro il caccurese Francesco Saverio Segreto che, insieme ad un gruppo di altri briganti, aveva tentato di assassinare il gendarme reale Bartolomeo Bucchianico e la guardia urbana caccurese Vincenzo Cosenza nel corso di un agguato teso loro in località Tenimento.

L’anno dopo vennero catturati tre noti briganti caccuresi: Vincenzo Miliè, Filippo Pellegrini e Andrea Lacaria.

Qualche anno dopo si realizzò l’Unità d’Italia ed il brigantaggio politico cambiò ancora una volta bersaglio.


Il brigantaggio post unitario

Il primo episodio di reazione al nuovo ordine costituito e al nuovo re d’Italia si verificò nei primi giorni di luglio del 1861 quando orde di briganti percorsero "impunemente, a mano armata, gridando Viva Francesco II, con la bandiera bianca alzata", come scrive in una lettera l’Intendente di Crotone al Governatore della Provincia di Calabria Ultra II° il territorio caccurese. Nella notte tra il 6 ed il 7 dello stesso mese, i rivoltosi inalberarono una bandiera bianca borbonica sul campanile della Chiesa Madre di Santa Maria delle Grazie. In paese accorse immediatamente la Guardia Nazionale di San Giovanni in Fiore e, subito dopo, una colonna mobile dell’Armata italiana. Intanto insorsero anche Savelli, e Cotronei e la rivolta si estese a tutto il Marchesato.

La rivolta caccurese, comunque, quantunque domata, continuava a preoccupare il comandante del distaccamento Magni inviato in paese, tanto che lo stesso, il giorno 10, richiese l’intervento della squadriglia della Guardia Nazionale mobilizzata di San Giovanni in Fiore. Il giorno dopo il tenente Magni si recò ad Altilia ed i briganti, nella notte, attaccarono Caccuri, ma vennero respinti. La colonna dell’esercito italiano rimase a Caccuri per molto tempo e da qui mosse spesso contro le orde di briganti che attaccavano ripetutamente la vicina Cotronei dove il 14 agosto la popolazione, unita ai rivoltosi, respinse più volte i soldati che tentavano di penetrarvi per ristabilire l’ordine. Intanto il 15 agosto il generale Cialdini emanò la norme che concedevano benefici ai briganti che si presentavano spontaneamente, ma già il 3 dello stesso mese tre briganti reazionari caccuresi, Rocco e Vincenzo Gabriele Perri e Vincenzo Mancuso, si erano presentati al sindaco per usufruire dell’amnistia del generale Della Chiesa.

Il pericolo corso dal paese e la necessità di garantire in futuro l’ordine pubblico, portò alla costituzione, anche a Caccuri, del ruolo permanente della Guardia Nazionale mobilizzata in base alla legge del 4 agosto 1861. Vennero così arruolate 8 guardie caccuresi di età compresa tra i 22 e i 31 anni. Essi erano: Domenico Falbo, Achille Gigliotti, Giovanni Ruggero, Santo Aiello, Giuseppe Falbo, Gaetano Marino, Ferdinando Belcastro e Luigi Allevato.

L’esercito rimase a Caccuri per molti mesi, poi, pian piano, le rivolte furono sedate e l’opposizione al nuovo governo passò dalla lotta armata ai mugugni ed alle critiche. L’ultimo episodio di cui si ha notizia è il processo intentato ad Angelo Segreto detto Panicauro (Pan caldo) di 53 anni, mulattiere, accusato di "pubblico discorso col reo fine di eccitare il disprezzo ed il malcontento contro il governo" e condannato dalla Pretura di Savelli il 6 settembre del 1865.

venerdì 1 gennaio 2010

1944 - Insurrezione fascista nel crotonese

Le armi nascoste in contrada Gullo (Scandale KR).
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Nel 1944 un fatto di cronaca aveva richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale. Nel Catanzarese ci fu un velleitario tentativo di rivincita fascista da parte di giovani della borghesia cittadina dove era operativo il principe Valerio Pignatelli e la moglie Maria De Seta;
Figure di primo piano furono anche l’avvocato napoletano Nardo Di Nardo, il tenente Antonio De Pascale, l’avvocato Luigi Filosa di Cosenza, il tenente Pietro Capocasale.
Il principe Valerio Pignatelli già nel 1943 era stato incaricato dall’ultimo segretario del Duce, Carlo Scorza, di organizzare un corpo di volontari, chiamato “Guardie ai Labari”, che avrebbe dovuto agire nei territori occupati da americani e inglesi per render loro la “vita difficile” attraverso azioni di guerriglia e di sabotaggio. Pignatelli, personaggio carismatico, pluridecorato di guerra, divenne la guida del fascismo clandestino meridionale e il suo arresto nel 1944 fu un duro colpo per tutto il movimento.
La fine della stagione del fascismo clandestino calabrese si ebbe con una serie di arresti delle forze dell’ordine nella primavera 1944 e con il famoso “Processo degli ottantotto” (dal numero degli imputati) tenutosi a Catanzaro, iniziato il 15 febbraio e conclusosi con le sentenze del 7 aprile 1945). Tra i condannati vi furono: Pietro Capocasale, Luigi Filosa, Ugo Notaro, il marchese Gaetano Morelli.
Le armi che dovevano servire per la sollevazione dei fascisti del crotonese furono trovate nella contrada Gullo in territorio di Scandale.
In un casolare del marchese Gaetano Morelli, furono trovati “11 moschetti calibro 91, molti caricatori e 2 casse di bombe a mano”.
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Cfr. Francesco Tigani Sava, Il processo degli ottantotto a Catanzaro, 1943-1945, in Mezzogiorno e fascismo.
Nando Giardini, Bocca di Lupo. Romanzo di vita vissuta, Catanzaro, Ursini Editore, 2001.
Roberto Ciuni, L'Italia di Badoglio, Rizzoli, 1993.
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